Evento con opere realizzate con l’ausilio della Realtà Aumentata, avvenuto mercoledì 1 luglio 2020 dalle 18 alle 21 nell'area parco di Piazza Gae Aulenti a Milano.
Con contributi del duo artistico Genuardi Ruta e Patrick Tuttofuoco, un intervento del filosofo Leonardo Caffo e testi critici di Eva Fabbris e Luca Lo Pinto.
ARBOREE VOLANTI
un progetto di Simone Berti
con il contributo di
Thomas Braida, Genuardi Ruta e Patrick Tuttofuoco
mercoledì 1 luglio 2020
dalle 18 alle 21
Bosco Verticale – Piazza Gae Aulenti, Milano
Un mondo immaginifico, popolato da vegetali dotati di vita propria, animerà virtualmente l’area tra il Bosco Verticale e Piazza Gae Aulenti a Milano, mercoledì 1 luglio 2020 a partire dalle ore 18. Arboree Volanti è il nuovo progetto artistico di Simone Berti con la partecipazione di Thomas Braida, il duo artistico Genuardi Ruta e Patrick Tuttofuoco, realizzato con l’ausilio della Realtà Aumentata e fruibile attraverso smartphone.
Gli alberi sono stanziali, come lo siamo stati noi in questo periodo di quarantena. Eppure le Arboree di Simone Berti si muovono e la questione parte da lontano, dal 1935: “I Centauriani [..] non «costruivano», ma «coltivavano». Non modellavano forme in metallo: invece conoscevano forme di protoplasma di cui avevano imparato a controllare il tasso e il modo d’accrescimento. Edifici, ponti, veicoli, persino le navi impiegate per i voli interspaziali, tutto insomma, era fatto di sostanza vivente, costretta a uno stato di quiescenza quando aveva raggiunto forma e dimensioni volute”. Così Murray Leinster, nel romanzo Proxima Centauri, descrive una tecnologia aliena basata sulla manipolazione genetica dei vegetali, che oggi non suona più tanto incredibile.
Le Abroree Volanti sono sostanzialmente dei tronchi e, in qualche modo, anche entità aliene. Dalle astronavi lignee letterarie della fantascienza degli anni ‘30 alle contemporanee Arboree Volanti c’è un filo rosso che, attraversando un particolare e metafisico rapporto tra natura e architettura, unisce tutte le esperienze alla base del mondo artistico di Simone Berti, sempre in equilibrio tra i contrasti. Qui, concrete forme organiche, vegetali e arborescenti non solo si trasformano in oggetti che fluttuano a mezz’aria tra i palazzi, volteggiando a volte sopra le nostre teste, ma si manifestano impalpabili e irreali grazie alla Realtà Aumentata, attraverso una concretezza che non c’è.
Con questo progetto Simone Berti porta alle estreme conseguenze quel contrasto che sussiste tra la materia e l’astrazione: quell’equilibrio tra opposti che ha sempre caratterizzato la sua ricerca. Le Arboree si muovono, come nell’esperimento del botanico Stefano Mancuso: una pianticella di fagiolo appena germogliata si dirige direttamente verso un palo, unico oggetto presente nella stanza, per aggrapparvisi. Le piante, grazie ad un meccanismo a noi ancora sconosciuto, percepiscono l’ambiente intorno a loro. Potremmo dire, con un piccolo salto di fantasia, che sentano l’architettura e possano fare delle scelte, magari non estetiche ma sicuramente dettate dalla convenienza in termini di sopravvivenza.
Testi critici di Eva Fabbris, Leonardo Caffo e Luca Lo Pinto; per partecipare basta cliccare sul sito www.arboree.it, attivo dal 1 luglio, e puntare lo smartphone sulle architetture e gli spazi urbani dell’area compresa tra il Bosco Verticale e Piazza Gae Aulenti.
Big Business
di Eva Fabbris
La prima potenziale cliente a cui Stanlio e Ollio bussano alla porta per venderle un albero di Natale in Big Business (1929) è una giovane donna, che rifiuta l’offerta, dapprima cortesemente. Ollio ci riprova, chiedendole se l’addobbo non potrebbe piacere al marito, al che lei ride e dice di non essere sposata. Allora Stanlio incalza: “Ma se fosse sposata, a suo marito piacerebbe avere un albero di Natale?”. Lei, per esigenze di scena, invece di condividere con gli spettatori almeno un’esitante risata, si offende e sbatte ai venditori la porta in faccia.
Questo senso dell’umorismo dolce e diretto, che perturba per essersi allontanato solo di poco dall’esistente, per aver creato nella sola dimensione linguistica un’alternativa al reale, è qualcosa che questi comici hanno in comune con la poetica di Simone Berti. Me lo ha ricordato lui, quando abbiamo cominciato a parlare del progetto Arboree volanti e a lui è venuta in mente la canzoncina scritta probabilmente da Alberto Sordi – voce italiana di Oliver Hardy in numerosi film della coppia - per la versione doppiata di The Flying Deuces (1939) sulle note di A Zonzo.
Guardo gli asini
che volano nel ciel
ma le papere sulle nuvole
si divertono
a fare i cigni nel ruscel
bianco come inchiostro […]
Guaaardo gli alberi che vooolano nel ciel.
Questo progetto riprende elementi fondanti del lavoro di Berti: primo tra tutti il tema visivo e abitativo dell’albero, in cui spesso l’attenzione per le radici è molto sviluppata, a perfetto contrappunto di un altro punto forte della sua pratica che è quello del sollevare cose e persone che dovrebbero essere poggiate a terra. Con trampoli, innaturalmente gruppi di famiglia si sono ritrovati ad essere ritratti fotograficamente in posa canonica, ma rialzati; un orto è cresciuto su una struttura a molle; dei mobili si sono collocati negli immaginari piani alti di una villa mai costruita.
La sua pittura, poi, è il luogo in cui certi dati di realtà che gli interessa contraddire (la gravità è solo uno di questi) possono essere reinventati senza l’impiccio di dover forzare la meccanica. Quasi sempre su un astraente fondo bianco, animali, alberi, personaggi della storia dell’arte vengono alterati: ingabbiati, attraversati, resi sorgenti di fiori che sbocciano o sovrastati da cappelli incredibilmente articolati. Il fatto che ora Berti lavori in realtà aumentata mi sembra una continuazione piuttosto naturale di questo lavoro in cui i concetti di struttura e di rapporto tra soggetto e sfondo sono stati costantemente forzati l’uno verso l’altro per compenetrarsi nello sguardo dello spettatore. Con l’intenzione di essere giusto appena oltre il reale.
Gli alberi sono soggetto dei quadri di Berti dal 2004: poderosi, occupano in larghezza quasi tutta la tela così che lo sguardo si concentri su quelle superfici che Jean-Paul Sartre ha descritto nauseato tra gli emblemi dell’eccesso di esistenza. Simone, che ama quel brano filosofico-visionario, non si sofferma su tutti i dettagli vitali come le rugosità, le muffe, gli insetti, i muschi, ma risolve in una pittura tendenzialmente piatta, animata da cromatismi innaturali (è pur sempre veneto, e quindi colorista…). L’interesse per gli alberi è nutrito per Berti anche dallo studio delle posizioni del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, che lavora sull’intelligenza delle piante e sul ruolo della riforestazione per combattere il cambiamento climatico.
L’idea dello sboccio, dell’apparire e del manifestarsi in pienezza, di celebrare il rigoglio è la forma che prende l’ecologismo nella pratica di questo artista.
Simone vive e lavora in Isola da molti anni, interrotti da un periodo berlinese, in un appartamento-studio in un piano interrato in cui vivono varie piante, tra cui una giunglesca monstera deliciosa le cui foglie a forma di mano compaiono anche in alcuni suoi lavori. La nuova Isola, compreso il potente Bosco Verticale, si è sviluppata letteralmente intorno a lui, che è diventato sempre di più un Thoreau nella sua capanna sotterranea, non alternativo o conservatore rispetto alle novità di quartiere, ma a suo modo spiritualmente resistente nella capacità di inventare al suo interno spazi di libertà. Che li trovi a mezz’aria e in realtà aumentata, come dicevo, è completamente coerente e intrinseco al suo lavoro.
I suoi alberi dipinti – per quanto digitali, sempre quadri con perimetro rettangolare e sfondo piatto - compariranno in un’area verde tra il Bosco Verticale e piazza Gae Aulenti, in una serie di ‘scene’ arricchite anche con le collaborazioni di altri artisti (perché Simone sa che la libertà non è, se è di uno solo), galleggianti e tranquilli; e celebreranno la loro nuova posizione e il loro nuovo status godendosi la possibilità di fare la ruota come un pavone, di cannoneggiare, di spararsi come un missile verso il cielo… Si, non saranno fermi, e anche la loro bidimensionalità in alcuni casi verrà arricchita da elementi che invaderanno lo spazio, come la tridimensionale navicella spaziale che percorre una traiettoria circolare che a un certo punto attraversa il suo quadro-albero.
Un libro di Gabriele Giammelli del 2017 dedicato a Stanlio e Ollio e all’analisi del loro Big Business individua nell’invenzione della lentezza il più importante lascito della loro comicità; invece del frenetico slap-stick, i due coltivano l’attesa della risata in dei crescendo lenti, di sospensione, in cui c’è il tempo per l’emergere di un approccio psicologico allo humor. Secondo Giammelli e altri studiosi di comicità, questo rallentamento è legato al mutamento generale dello stile di vita statunitense sulla soglia degli anni Trenta. Secondo Petr Král, l’ironia basata sulla lentezza «corrisponde a un periodo di arretramento: a una “fine della festa” in cui, dietro la spinta della Crisi, la follia degli anni Venti a poco a poco cede il posto a una ricerca di stabilità».
Con un approccio decisamente affine, le Arboree Volanti non compiono gesti eclatanti né repentini. Stanno, si ambientano, occupano. E creano un nuovo temporaneo paesaggio che sottilmente, immaterialmente evita di aderire all’urbanizzazione in cui vanno a collocarsi. Sono manufatti umani, altroché; veri e propri elementi antropici, che celebrano la potenza della natura, la sua intelligenza, la sua lenta e ciclica imprevedibilità.
Arboree Volanti intesa come intera operazione di pittura, traslato virtuale e scelta site-specific è a suo modo un paesaggio geografico: unisce poeticamente elementi umani e elementi volutamente naturali. O meglio, come dice Ollio indicando un quadro in una casa patrizia che finge sia sua (quando invece lui è un vagabondo in fuga da un poliziotto che lo cerca perché insieme a Stanlio dorme nei parchi) è un paesaggio geografico, con l’accento sulla i.
Appunti analogici per una realtà aumentata
Di Luca Lo Pinto
Simone Berti è un pittore atipico. Ha sempre visto il quadro non come una superficie bidimensionale ma come un oggetto. Un oggetto pittorico fluttuante che sfugge agli attributi che solitamente associamo a quel linguaggio.
Simone vive in un mondo dove tutto è sospeso. Viaggiando dentro il suo universo capita di osservare un orticello sulle molle, ammirare pesci spada appoggiati su strutture che sembrano un incrocio tra un display di Franco Albini e un dispenser della Standa, scorgere cannocchiali sostenuti da treppiedi con gli sci, abitare palafitte a forma di denti, saltare da catapulte umane o modellare la luce con le mani. Nulla sembra essere appoggiato a terra anche se molte delle sue opere puzzano di terra, radici, muschio. Gli alberi sono l’ossessione di Simone. Li ha dipinti in ogni declinazione e deformazione.
Negli anni Simone ha prodotto macchine celibi trainate da un immaginario iconografico tra il rurale e il tecnologico, tra la fiaba e la scienza, tra Italo Calvino e Philip K. Dick. La sua arte è tutto in elevazione. Fa indossare le protesi agli oggetti più familiari – mobili casalinghi – e li trasforma in paesaggi perturbanti dove la natura si trova ad abbracciare manufatti che hanno perso la loro funzionalità mutandosi in entità identiche a sé, aliene al mondo. Visioni immaginifiche e incestuose che ricordano tanto le sculture di Bruno Gironcoli quanto le architetture animalesche degli Archigram.
La storia ci ha insegnato che l’arte gioca sempre in anticipo. Adesso è giunta l’ora. Finalmente la tecnologia è stata capace di recuperare il tempo perduto.
Simone era lì, seduto su una panchina davanti al parco ad aspettare perché in realtà (non aumentata) aveva già organizzato tutto. Erano anni che la sua mente lavorava in modalità pluridimensionale facendo ruotare gli oggetti come fossero dei prismi da osservare da ogni prospettiva.
Nel 1982 Joseph Bueys ebbe il miraggio di far piantare 7.000 querce a Kassel. Nel 2020 a Milano ci sono più grattacieli che alberi. Edifici alti alti un pò sghembi le cui superfici somigliano a quelle di uno smartphone. Tra tutti Simone ha scelto di stare vicino a quello a lui più affine: il Bosco Verticale. L’artista si è appropriato dello spazio pubblico incastonato tra la verticalità naturalistica boeriana e l’orizzontalità ardesiana aulentiana. Uno spazio che è di tutti e, come tale, anche degli artisti, In un momento storico dove il mondo è stato messo in pausa, l’arte ha la necessità di reinventarsi. Simone lo ha fatto lanciandosi in un esperimento che ripensa il “corpo” della sua opera quanto il formato della mostra.
Un caleidoscopio di figure ibride tra l’umano e il vegetale convertono uno spazio anonimo in un trip dove per calarsi basta un telefono. Sfruttare la realtà per trasfigurarla e produrre un’illusione effimera rientra nel potere dell’arte. Simone lo ha fatto senza fissare negli occhi la medusa tecnologica evitando il pericolo di farsi lui strumento. Ha mantenuto la struttura archetipica della pittura (il quadro nel formato della tela) per proiettarlo in uno spazio trasparente che cambia a seconda del movimento e infine dirottarlo facendola esplodere in un vortice di allegorie fuori formato in cui perdersi. Ora sta noi buttarsi in questa avventura 4.0. Buon viaggio.
©AtelierSimoneBerti